venerdì 30 ottobre 2009

The Informant! - Steven Soderbergh



Mark Whitacre è un manager di successo per un’azienda di derivati agricoli del Midwest a stelle e strisce. Sembra completamente a suo agio in un sistema che lo ingloba, chiaro esempio di un opaco benessere di quella “middle upper class” che pensa solo ai soldi: una bella casa, una moglie affettuosa, tre figli (di cui due adottati), una scuderia personale con otto macchine di lusso. Ma il seme dell’arrivismo esasperato lo porta a destabilizzare questo cinico equilibrio indirizzato al solo all’interesse economico. Inizia così a collaborare con l’FBI (agente 0014, si autoproclamerà, perché lui è 2 volte più furbo di 007) convinto che, denunciando gli illeciti riguardanti la gestione illegale dei prezzi dell’industria agroalimentare,  riuscirà a scalare la piramide aziendale fino al suo vertice.  Pur di arrivare al successo personale Whitacre perde il senso della realtà lasciandosi trasportare in un mare magnum di frottole e simulazioni, un’escalation di bugie e invenzioni che porta gradualmente a far vacillare la credibilità di questa “gola profonda”. 
The Informant! è una commedia dark che prende spunto dal libro di Kurt Eichenwald, giornalista del New York Times specializzato in scandali finanziari. Soderbergh porta sullo schermo un lavoro meno personale rispetto al biopic in due parti “Che” che però ha il merito di ridicolizzare alcuni limiti della società americana (e non solo..) dove è sempre più difficile distinguere tra verità e bugie, tra apparenza e sostanza, tra identità e mistificazione. Purtroppo capiamo ben presto l’inaffidabilità di Whitacre, mentitore incallito indecifrabile per tutti - anche per se stesso - interpretato da un ottimo Matt Damon ingrassato per l’occasione di quindici chili.  Gli farà da contraltare l’agente dell’FBI Brian Shepard, persona sincera e determinata che, nonostante le cocenti e reiterate delusioni, si prende a cuore l’uomo e continua a credergli. Lasciando da parte ogni tipo di analisi articolata la narrazione si stabilizza decisa su un registro comico (rimarcato dalla colonna sonora di Marvin Hamlisch) che sembra banalizzare le potenzialità creative della vicenda. Lo scenario di spionaggio industriale rimane sullo sfondo spostando il focus sul castello di menzogne che poco a poco si viene a creare, una realtà soggettiva che ingloba in se stessa anche tutta una serie di oggettività frammentate. A strapparci qualche sorriso ci pensano le digressioni mentali del protagonista, monologhi interiori che evidenziano impietosamente una contraddizione tra ciò che egli pensa e ciò che fa, un’altalena tra verità e finzione che lascia però a poco a poco indifferenti.

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